Il Tribunale di Venezia, sezione specializzata in materia di immigrazione, decide di riconoscere la protezione sussidiaria ex art. 14 lettera c) d.lgs. n. 251/2007 a un cittadino di origine pakistana, proveniente dalla regione del Khyber Pakhtunkhwa.

La protezione sussidiaria in questione, disciplinata all’articolo 14, prevede alla lettera c) che il richiedente subisca una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona derivante dalla violazione indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. In una nota del 2008 l’UNHCR (Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha precisato che l’espressione “violenza indiscriminata o generalizzata” si riferisce all’esercizio della violenza non mirato ad un oggetto o a un individuo specifico e che con l’espressione “persone minacciate da violenza indiscriminata” si intendono le persone che, al di fuori del paese di origine, non possono rientrare a cause di un rischio reale (e non solo astratto) di subire minacce alla vita, all’integrità fisica o alla libertà a cause di tale violenza.

Da ciò ne deriva che la protezione sussidiaria prospettata dall’art 14 lett. c) “… dovrebbe riguardare i rischi che minacciano (potenzialmente) interi gruppi di persone”.

La Corte di Giustizia ha anche precisato che l’ipotesi di cui alla lettera c) opera anche qualora l’interessato non fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico da questi episodi, ma è possibile considerare l’esistenza della minaccia anche “qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti impegnate con una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (sentenza 17.2.2009, causa n. C-465/2007, Elgafaji c. Paesi Bassi; sentenza 30.1.2014, causa n. C-285/2012, Diakité, con specifico riferimento alla definizione di conflitto armato interno; cfr. Cass. n. 8281/2013).

Ciò è avvenuto nel caso di specie: il Tribunale di Venezia, prendendo le mosse da quanto prima statuito dalla Commissione Territoriale, ravvisava la presenza di un conflitto armato interno (intendendosi per tale uno scontro tra forze governative ed un gruppo armato o tra più gruppi armati) nella provincia pakistana del Khyber Pakhtunkhwa, zona di provenienza del ricorrente.

Il Collegio, infatti, ripercorrendo gli ultimi accadimenti della provincia pakistana sottolineava l’esistenza di un vero e proprio conflitto armato che incide particolarmente sul rispetto dei diritti umani. La vicinanza con l’Afghanistan ha infatti favorito il proliferare di gruppi militanti islamisti: la provincia del Khyber Pakhtunkhwa è stata oggetto di una massiccia migrazione di Talebani afghani, generando un fenomeno che il Collegio riporta con il nome di “talebanizzazione”.

La sicurezza in quelle zone, seppur migliorata nel tempo, è rimasta fragile. Il Collegio riporta i dati pubblicati da ACLED relativamente al periodo 01/01/2022 – 09/06/2023, segnatamente alla provincia di Khyber Pakhtunkhwa riporta un totale di 781 eventi violenti (377 battaglie, 130 rivolte, 142 esplosioni/episodi di violenza da remoto e 132 episodi di violenza contro i civili), per un bilancio complessivo di 1313 vittime.

I dati segnalano quindi un netto aumento delle violenze nella provincia rispetto al 2021 (01/01/2021 – 31/12/2021), quando erano stati rilevati 316 eventi violenti (164 battaglie, 47 rivolte, 63 esplosioni/episodi di violenza da remoto e 42 episodi di violenza contro i 28 civili), per un totale di 498 vittime.

L’inasprimento delle violenze negli ultimi mesi ha fatto sì che gli analisti di ACLED riclassificassero la provincia di Khyber Pakhtunkhwa da area di “rischio consistente” ad area di “rischio estremo”, alla luce del picco di violenza registrato rispetto all’andamento del fenomeno.

Tale situazione di violenza generalizzata in cui versa la provincia del Khyber Pakhtunkhwa viene rilevata dal Collegio, che per questi motivi decide di riconoscere la protezione sussidiaria al richiedente, che gli darà accesso ad un permesso di soggiorno di durata di 5 anni.